Linguaglossa

Storia locale

Le origini
Attorno ai pagliai si levava, alta come una muraglia, la foresta.
Vuole uno storico del cinquecento – e motivi seri per contraddirlo noi non abbiamo – che Linguaglossa sia stata fondata da un gruppo di artigiani genovesi e lombardi di sede a Castiglione, e poi uscirono da Castiglione per stabilirsi definitivamente nelle nostre contrade, dove si misero a praticare l’estrazione della resina dai grossi tronchi dei pini: su per giù verso il mille e cento. Allora i Normanni occupavano l’Isola, combattevano contro i Saraceni, davano grossi fastidi al Papa, proteggevano le Chiese e i Monasteri e il Re Ruggero si faceva chiamare fedele in Cristo e dei Cristiani grande protettore. Attorno ai primi pagliai dei resinatori cresceva rigogliosa quasi come una muraglia la foresta dei pini giganteschi. Nacque Linguaglossa, figlia della foresta, attaccata alla sua verde immensa foresta, di qua le nevi bianche dell’alto vulcano, di la l’infinita distesa del mare azzurro.

Il primo documento
Il documento in cui si fa per la prima volta il nome di Linguaglossa e un diploma del 1145. In esso il re Ruggero stabiliva per I’Archimandrita Venerabile Luca i confini della Diocesi di Messina.

Le sette strisce di lava. Il miracolo di Sant’Egidio
Dicono che Linguaglossa sia stata costruita su sette colate laviche, ma sette o dieci non importa, importa il carattere dei suoi abitanti come la lava forti e tenaci. All’alba del quattro di febbraio dell’anno del Signore 1169 un terremoto violentissimo fece ballare le pendici della Montagna, sussultò l’Isola tutta, abbaiavano i cani impazziti e cantavano di un canto lontano i galli. Il Vescovo di Catania rimase schiacciato sotto gli altari crollati, in mezzo alle macerie della città morirono quindicimila Catanesi senza potere chiamare nemmeno aiuto, si prosciugarono tutte le fontane. Dalla terra fracassata e fumante zampillarono caldi ruscelli, Mongibello vomitava zolfo e fuoco, come i draghi dell’Apocalisse, e la cima del Vulcano rovino, in un inferno di fiamme e di ceneri, con boati lunghi e cupi dalla parte di Linguaglossa. Pareva la fine del mondo. Fu l’eruzione del 1169, o altra dello stesso secolo o tutt’al più del 1200, che distrusse parte del nostro paese. In un documento, infatti, di tre secoli
addietro, c’è scritto pressappoco così:
Al principio della fondazione ed edificazione della città di Linguaglossa un torrente di fuoco minacciava la città; fu allora che ad alcuni popolani apparve Sant’Egidio, aveva gli abiti pontificali e la mitra in testa, e fermava col bastone il fuoco, e gli impose questa legge: – Tu non varcherai questo limite, né oserai toccare la città che mi è stata affidata! Così disse Sant’Egidio, e da allora, ogni anno, il primo di Settembre, i valligiani fanno una grande festa al loro Santo Patrono.
turpe est in patria vivere et patriam ignorare.

Dal Vespro ai Crisafi i tiranni si succedono ai tiranni
Oscure sono le vicende del nostro paese nei primi secoli della sua fondazione. Forse fu borgo libero sino al tempo del Vespro, ancora non lo sappiamo. Insorse, come tutte le altre città dell’Isola – sulu Spirlinga nigau! – contro la mala Signoria degli Angioini usurpatori. Gli Aragonesi, vincitori degli Angioini e nuovi dominatori della Sicilia, assegnarono Linguaglossa a Ruggero di Lauria. Ma caduto in disgrazia dei Siciliani, Ruggero perse tutti i suoi feudi, ed anche Linguaglossa. Che torno ad essere città demaniale, cioè possesso diretto dei sovrani Aragonesi. Questi, nei primi decenni del 1300 diedero il paese in feudo ad una nobile signora, Anastasia Filangieri. Ora comincia il dominio dei Filangieri. I linguaglossesi non ci vogliono stare sotto quel dominio, odiano il governo feudale. Cadono di nuovo sotto gli Angioini, ricadono sotto gli Aragonesi, Federico II d’Aragona assegna Linguaglossa in dote alla bella moglie, la Regina Costanza. Ma sul finire del secolo Linguaglossa ridiventa possesso feudale di Nicolò di Lamia, che non sappiamo chi fosse, sappiamo solo che si ribellò al Re e fu dichiarato ribelle da Martino d’Aragona, Questi concesse Linguaglossa a Nicolò Crisafi, messinese, mastro Notaro della Pubblica Cancelleria. Cosi, nel breve periodo di un secolo, Linguaglossa cambia padrone almeno dieci volte. Regalata alle regine come regalo di nozze, dominata dai re, assegnata graziosamente ai feudatari, gemeva la Terra, si levava a rumore, al duro servaggio non voleva mai rassegnarsi.

La mala signoria dei Crisafi confonde la Terra per quasi due secoli
Nicolò Crisafi, discendente di Giorgio Maniace – almeno cosi lui si vantava – prese possesso di Linguaglossa nel 1932, insorsero allora gli abitanti della Terra insieme a quelli di Castiglione, fecero una grande strage di Catalani. Poi ebbero una concessione di grazia plenaria e si acquietarono. Nicolò Crisafi conservo il feudo e lo tra- smise ai suoi discendenti, a Giovanni, a Nicolosio, a Costanzella. Costanzella Crisafi andò sposa ad Antonello di Malda e gli portò in dote la nostra Terra, avevano dei nomi gentili quei Signori ma il cuore crudele, non si degnavano nemmeno di venire a Linguaglossa per ascoltare da vicino le necessità degli abitanti, li tiranneggiavano da lontano, servendosi di uomini di fiducia. Ai tempi di Malda governatore della Terra di Linguaglossa era un tirannello anche lui dal nome gentile. Sansonetto da Capua.
La Signoria dei Crisafi continua con un secondo Nicolò, con Masullo, con un terzo Nicolò, figlio di Masullo. A Masullo i privilegi, di cui godevano da tempo i linguaglossesi, erano una spina nell’occhio, tentò di abolirli, il popolo insorse chiedendo l’aiuto del potente viceré spagnolo contro il prepotente tirannello della Terra, che usci scornato dalla lotta, e per non sentire più i linguaglossesi, regalò il feudo alla figlia Isabella. Ma cattiva Terra era la nostra, e Isabella se ne voleva sbarazzare, ci riuscì, nel 1568, a trovare un compratore: Don Stefano Cottone. Duro centosettanta e più anni il lungo dispotico dominio dei Crisafi.

Continuano le lotte contro i Signori. Il riscatto del 1634
Ci sono dei muli belli, dal manto lucido, fortissimi, che sparano calci quando meno te l’aspetti ed hanno la testa dura, e chi li compra se ne pente subito, come successe a Stefano Cottone, dopo l’acquisto della Terra di Linguaglossa. Avevano la testa dura i linguaglossesi e, muli e non muli, la libertà volevano. Stefano Cottone rivendette allora il Feudo ai Patti: verso la fine del mille e cinquecento dominano qui da noi Bartolomeo Patti e Silvia Patti. I Patti s’accorgono anch’essi del pessimo acquisto, fra loro nobili fanno a gabbacompagno, lo rivendono a loro volta ad Orazio Bonanno, di antichissima schiatta. Ai linguaglossesi questa storia di vendite e di compere non piace più, muli essi sono, hanno la testa dura, ma con quella testa ragionano, non sopportano più l’ignobile storia, lottano a viso aperto contro i Bonanno. Il 14 febbraio del 1606 giura Don Orazio Bonanno, nella Chiesa di Sant’Egidio coram populo, alla presenza del popolo, che rispetterà i privilegi dei linguaglossesi; ma tradisce il giuramento, ora i linguaglossesi sono decisi a farla finita una volta per sempre. Don Orazio riesce ad ottenere dal Re di Spagna l’elevazione della Terra da Baronia a Principato, diventa Principe di Linguaglossa; i nostri protestano violentemente presso il Re di Spagna, gli offrono grosse somme, vogliono la libertà. Cosi per lunghi anni, con tumulti e con offerte di scudi sonanti da ambedue le parti, in gara a chi fa di più, come per l’asta di San Rocco. Alla fine i nostri, uniti in uno sforzo che li fa quasi vacillare, raccolgono scudi dietro scudi, se li fanno prestare dai Messinesi, ne depositano ottantamila, tutti d’oro belli e fiammanti, nella Cassa senza fon- do del Re. Re Filippo IV di Spagna il 13 giugno del 1634, giorno di Sant’Antonio di Padova, dichiara Linguaglossa Città libera dal servaggio feudale e le concede il privilegio di poter nominare da se i propri ufficiali e i propri amministratori. Ora almeno i linguaglossesi piangono con un occhio solo.